Scultura
03/gennaio/2017 - h. 03.21
La scultura conservata nella Pinacoteca di Forlì, è l’ultima delle quattro versioni dell’Ebe e Canova la realizzò nel 1816 per la contessa Veronica Guarini, acquisita poi dal Comune di Forlì nel 1887. Oggi è diventata il simbolo del patrimonio artistico cittadino, un simbolo fragile a cui il tempo, le peripezie storiche, gli spostamenti più o meno necessari, hanno inferto i loro colpi. La statua infatti, è composta da due porzioni di marmo unite internamente da un perno metallico: una è grande per quasi tutta la scultura, comprese braccia e gambe, nell’altra è stata scolpita la testa. La giuntura fra le due parti è coperta dalla collana in bronzo. E proprio da questo punto si è aperta una fessura, che scende lungo la schiena verso il basso, dovuta probabilmente all’ingrossamento del perno che deve avere assorbito umidità e che, deformatosi, preme dove il marmo è più sottile.
La profondità della fessura potrebbe aggravarsi, ad esempio con le vibrazioni dovute ad eventuali trasporti, motivo per cui, con tutta probabilità Ebe non lascerà mai più la saletta circolare che la ospita in Pinacoteca, in cui la temperatura è mantenuta costante e dove è visibile a tutto tondo: Canova consigliava addirittura di esporre le sue sculture su meccanismi meccanici che ruotavano su loro stessi, proprio per apprezzare la straordinaria dinamica delle forme che vivono nello spazio. Un altro punto critico è il calcagno del piede destro, sollevato nel movimento, e sul quale è stata rilevata una cavillatura periodicamente monitorata con esami di vario tipo.
Anche nella scultura di Ebe risalta la sensualità tipica dei marmi di Canova, ilmaggiore artista neoclassico, la cui presenza a Forlì testimonia un tempo in cui la città era davvero all’avanguardia nel mondo dell’arte; Canova vi realizzònon solo la quarta e probabilmente la più bella versione dell’Ebe, ma anche lacelebre “Danzatrice con il dito al mento”, dispersa dopo la morte del suoproprietario, il banchiere Domenico Manzoni, e la stele funeraria del Manzoni stesso, conservata nella chiesa della Trinità.
Abbandonati barocchismi superflui a tutto vantaggio di una composizione pura, ma in grado di incarnare e trasmettere sensazioni, Canova fece rivivere nella sua opera scultorea la lezione appresa dal critico tedesco Johann Winckelmann sui valori fondamentali dell’arte antica: la ricerca della “nobile semplicità” e della “quietagrandezza”.
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